Pino Musi

Attraverso · 2012

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L’esterno della città, vivo e dinamico, viene inquadrato attraverso cantieri di edifici progettati da archistars, quinte teatrali dalla natura incerta, corpi irrisolti ancora senza pelle, senza sangue nelle vene. Le aperture regolari dei cantieri definiscono frammenti urbani, partizioni di città dove posare lo sguardo con l'attenzione di un entomologo.
testo correlato:Infra / Stefania ZulianiLo sguardo è frontale, inesorabile. L’inquadratura è netta, senza smarrimenti: nata nella luce e nel colore dell’aria, l’architettura, che è fatta di forme che pesano, che hanno voce, respiro, umore, è, qui e ora, soglia inequivocabile della città. Dell’immagine della città, che è tanto una costruzione visiva e percettiva, una veduta e un ambiente, quanto un movimento, un incessante passaggio in cui la regola e il caso inventano senza sosta imprevisti equilibri, in cui s’incontrano identità disperse, spaesate, - la città, ha detto Nancy, è "artiste du vivre ensemble" - e in cui nascono nuove visioni da riconoscere e circoscrivere ogni volta. Da mettere in cornice, proprio come accade nelle otto fotografie che scandiscono il racconto, asciutto e opportunamente inconcluso, di Attraverso. L’architettura, da molti anni ormai sfida e complice prediletta di Pino Musi e della sua consapevole ricerca, in queste opere si mostra infatti a un tempo dettaglio e cornice della scena urbana. Un’intima cornice, non solo perché è dall’interno invisibile, più profondo e nascosto, delle costruzioni, architetture che stanno crescendo e non si sono ancora fatte funzione, casa, ponte o museo, che l’autore ha voluto far muovere il suo (e il nostro) sguardo verso l’orizzonte urbano e le sue speranze, ma perché proprio in quanto cornice l’architettura non è soltanto limite che chiude e distingue, esibisce, ma estensione e prospettiva di ciò che racchiude e che, mentre racchiude, ci fa, finalmente, vedere. Più che finestra che delimita, unisce e separa il suo contenuto, come prescriveva agli inizi del Novecento Georg Simmel, la cornice è infatti parergon, non è né interna all’opera né completamente esterna ad essa, è "un supplemento" che, ha osservato Derrida "démonte les oppositions conceptuelles les plus rassurantes". E di questa ambiguità felice, di questa qualità ibrida e rischiosa, perturbante - qual è il dentro, qual è il fuori? ovvero, qual è il soggetto e qual è l’oggetto di queste immagini? - vivono le fotografie che nel marzo 2012 Musi ha scattato, con cura paziente e rigorosa disciplina, a Salerno nei cantieri della cittadella giudiziaria disegnata da David Chipperfield, della stazione marittima progettata da Zaha Hadid e del palazzetto dello sport firmato da Tobia Scarpa. In un bianco e nero senza indulgenze o nostalgie, frutto di una sapienza di stampa ai limiti, sempre evitati, del virtuosismo, la fotografia mostra e giudica le strutture in cemento armato, ora così ferme e verticali da ribadire che, malgrado gli oramai spericolati computi digitali, l’architettura è in fondo ancora figlia di Dedalo e del suo filo a piombo, ora tanto increspate e sinuose, così azzardate e leggere da farci credere che davvero, come scriveva Valéry nel suo Eupalinos, i palazzi possono cantare, istituendo per forza di luce gli spazi abitati dai ferri e dalle ombre che dicono deserti i cantieri e restituendoci, al tempo stesso e senza soluzione di continuità, più vera e viva la città. Facendoci fare, e questo è l’azzardo e la speranza, l’esperienza della città, che non è soltanto quella della visione, del riconoscimento delle sue intenzioni e delle sue figure - la città giardino, la città corpo, la città labirinto… - ma che è anche, e sempre di più oggi che il visivo ci sommerge, esperienza di ascolto piuttosto che di contemplazione. "Ascolto il tuo cuore, città", aveva del resto dichiarato Savinio a proposito della sua metafisica Milano, e se davvero lo sguardo, come ha suggerito di recente Régis Débray, si è progressivamente trasformato in una modalità dell’ascolto, un “tendere verso” che implica il movimento, l’adesione, l’attraversamento delle frontiere (dei limiti e delle cornici) che disciplinano l’incontro con l’altro, Attraverso è un esercizio di visione complessa, di mediazione fra i sensi - la vista, l’udito, anche, con sottile decisione, il tatto - capace di farci entrare effettivamente in contatto. In contatto con la città, con la sua vita inquieta e mobile, fatta di architettura e di persone, di mura da abbattere e da erigere, di commerci e di sempre nuovi legami tra gli individui e le comunità, tra la natura e le tante culture che nella città convivono, si fondono e si distinguono. Perché la città, come la fotografia, come l’architettura, è una terra di mezzo, una possibilità e un rischio da condividere che, come "il mondo, come ogni infra, mette in relazione e separa al tempo stesso gli uomini" (Hannah Arendt).

libro correlato:
Attraverso


Stazione Marittima, cantiere di Salerno, 16 marzo 2012 ore 15:48. Architetto Zaha Hadid
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Palazzetto dello Sport, cantiere di Salerno, 15 marzo 2012 ore 11:00. Architetto Tobia Scarpa
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Palazzo di Giustizia, cantiere di Salerno, 14 marzo 2012 ore 10:30. Architetto David Chipperfield
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Stazione Marittima, cantiere di Salerno, 16 marzo 2012 ore 16:14. Architetto Zaha Hadid
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Palazzo di Giustizia. cantiere di Salerno, 14 marzo 2012 ore 11:20. Architetto David Chipperfield
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Palazzo di Giustizia. cantiere di Salerno, 14 marzo 2012 ore 12:07. Architetto David Chipperfield
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Palazzo di Giustizia. cantiere di Salerno, 14 marzo 2012 ore 10:50. Architetto David Chipperfield
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Palazzo di Giustizia. cantiere di Salerno, 14 marzo 2012 ore 09:42. Architetto David Chipperfield
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